Venerdì 25 e sabato 26 presso l’Accademia dei Georgofili a Firenze ho avuto il piacere di partecipare a Grani&Pani, il primo forum sul tema dei grani antichi, realizzato grazie alla professionalità di Paola Mencarelli e di Grassi&Partners.
Una due giorni intensa con agricoltori, mugnai, panificatori toscani e da tutta Italia che hanno condiviso nelle varie sessioni le loro esperienze e conoscenze, supportati da interventi scientifici di docenti universitari. Primo fra tutti il Prof. Benedetteli, della facoltà di Agraria di Firenze, ha subito messo in chiaro le caratteristiche dei grani antichi.
Diffusi fino al dopoguerra, sono stati mano a mano rimpiazzati da varietà moderne, dei grani “migliorati” attraverso incroci e irradiazioni ai raggi gamma, per poter essere più performanti. Il frumento moderno, infatti, risulta più produttivo (70 quintali per ettaro, contro i 35 circa di quelli antichi) e le proteine che lo costituiscono, le gliadine e le gluteine, sono più forti e facilitano la panificazione. Queste proteine unite all’acqua e all’azione meccanica (dell’impasto) sviluppano il glutine, una proteina di grande importanza nei lievitati.
Le varietà moderne hanno infatti una “forza” (indice W) anche molto elevata, dai 100 fino ai 400W. E questa forza viene dettata proprio dalla tenacia del glutine, che pur facilitando il lavoro di fornai e pasticceri ha comportato l’aumento di casi di celiacha e di intolleranza (del glutine).
Le varietà antiche, al contrario, hanno una forza molto bassa (spesso non arrivano ai 100W), ma presentano innumerevoli vantaggi. Migliori a livello nutrizionale, ricchi di polifenoli e flavonoidi, consumati con regolarità sono in grado di regolare il colesterolo e l’insulina.
L’azione benefica che svolgono riguarda anche l’ambiente. Per loro natura sono adatti alla coltivazione in biodiversità, e al recupero di aree marginali, ridando vita a terreni abbandonati, arricchendoli senza esaurirli.
Richiedono un minor intervento degli agronomi, essendo più resistenti ai parassiti, non necessitano di molti pesticidi e con le loro radici più profonde e i fusti più alti l’uso di diserbanti e fertilizzanti è molto ridotto.
Questi fattori, uniti alle rotazioni tipiche di queste colture, permettono al terreno di rimanere fertile e ricco senza chimica aggiunta. Lorenzo Ighina dell’Azienda Agricola la Felicina ci racconta del successo nei suoi terreni ruotando patate e grano Enkir monococco, che viene trasformato in farina dal Mulino Marino.
Non solo il grano è importante. Anche la molitura è un aspetto cruciale.
In pochi hanno la fortuna, come l’Azienda Agricola Floriddia, di gestire tutta la filiera. La ditta di Rosario Floriddia si occupa, infatti, di coltivazione biologica di varietà antiche di grano duro e tenero e provvede sia alla macinatura a pietra, sia alla produzione di prodotti da forno come pane, biscotti e pasta secca.
Come confessa Fulvio Marino, il mugnaio ha il difficile compito di selezionare i grani ed effettuare un’accurata pulizia per evitare che i prodotti dannosi vengano macinati.
Le migliori macine sono a pietra, in grado di preservare i nutrienti del grano. Filippo Drago, dei Molini del Ponte, sottolinea che non tutte le macine a pietra sono uguali e indica come la migliore la mola di La Ferté-sous-Jouarre, utilizzata anche dal toscano Molino Grifoni, piccola realtà del Casentino dove le mole sono mosse ancora dalla sola energia naturale dell’acqua.
Nella seconda giornata si è parlato di pane e lievito madre, con un focus sulla Toscana in mattinata e sul resto d’Italia nel pomeriggio.
La giornata è stata introdotta dal Prof. Ciuffoletti, docente di Storia Contemporanea, con cenni storici del pane in Italia e un interessante spiegazione dei motivi che hanno portato il “pane toscano” ad essere sciocco, senza sale.
Sicuramente la malaria, diffusa sulle coste dove arrivavano le merci, rendeva queste aree inarrivabili e quindi difficoltoso l’approvvigionamento di sale. Inoltre anche il sale di Volterra, autoctono, era molto costoso e poco accessibile per gli abitanti delle campagne toscane, dove non arrivavano i quattrini dei banchieri fiorentini. Essi vivevano di autoconsumo, preparando il pane (sciocco) in casa e sfruttando le verdure dell’orto. L’importanza del pane nell’alimentazione toscana si rispecchia nelle numerose preparazioni tuttora in uso: dalla ribollita, con il cavolo nero (obbligatorio per Statuto negli orti medievale), alla pappa col pomodoro, alle schiacciate, al crostino toscano.
Interessanti le esperienze dei panificatori intervenuti nella mattinata, tra cui cito il Panificio Menchetti che ha costruito il suo successo intorno al grano Verna, una varietà antica recuperata grazie al Prof. Benedetteli. I Menchetti possiedono diversi locali tra Toscana e Umbria e hanno ottenuto le “Tre rotelle” Gambero Rosso, riconoscimento per le migliori pizzerie a taglio.
David Bedu, francese e proprietario di Pank-La Bulangeria, sita al primo piano del Mercato Centrale di Firenze, già pasticcere si è appassionato alla panificazione fino a diventare un vero maestro dell’arte bianca di qualità (vicecampione alla Coupe du Monde de Boulangerie nel 2005). Tra le proposte del suo negozio, compare il Pane di San Lorenzo, in onore del santo patrono dei fornai, una forma di 2 kg di pane toscano, ottenuto da farine del Mulino Grifoni e lievito madre liquido.
Proprio il lievito madre è stato l’altro protagonista della giornata di sabato. Tutti i panificatori presenti usano o madre liquida, come David Bedu e Davide Longoni del Panificio Longoni di Milano, o madre dura, come Pasquale Mauro del Panifico del Ponte di Prato.
Il lievito madre ha indubbiamente caratteristiche superiori al lievito di birra. Come ci rammenta il Prof. Benedettelli il lievito di birra è popolato da miliardi di lieviti della stessa natura, mentre la pasta madre contiene milioni di lieviti di fattispecie diverse, in grado di sviluppare profumi e aromi irripetibili.
Dalle conversazioni pomeridiane tra la moderatrice Laura Lazzaroni, giornalista appassionata di grani antichi e pane (con un libro in uscita sull’argomento), e i panificatori d’Italia presenti è emerso un concetto cruciale: il compromesso. Riconosciuti unanimamente come migliori sia i grani antichi sia il lievito madre, va detto che la perfezione non esiste e bisogna talvolta scendere a compromessi. Quindi accettare delle imperfezioni in alcuni prodotti (come in un panettone fatto di grani antichi, impresa titanica), oppure non inorridire se la migliore pizza d’Italia, quella di Franco Pepe a Caiazzo, è sì fatta di grani antichi ma viene realizzata con lievito di birra, pur in minima quantità e sfruttando una lunga lievitazione, come ci informa il Dott. Vincenzo Coppola dell’Azienda Agricola Zullo, collaboratore di Pepe e produttore del grano da lui usato.
Insomma, è stata una due giorni intensa, ricca di contenuti, di passioni e di persone vere. L’aria sta cambiando nel mondo del grano, delle farine e del pane, anche grazie agli esperti presenti a questo convegno e che, non senza difficoltà, hanno ridato vita e reso attuale e moderno, ciò che era antico. Non solo riscoprendo grani e tipologie di panificazione, ma dando dignità e pregio a lavori difficili che in pochi sceglievano di fare.
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Ciao Daniela,
Sono Giulia ci siamo incontrate proprio in occasione di grani e pani e finalmente mi faccio risentire, approfitto per farti i complimenti per il blog e per la sintesi perfetta dell’evento.
risentiamoci.
salutoni
Giulia
Ciao Giulia,
Grazie mille del tuo messaggio. Manteniamoci in contatto!
Intanto in bocca al lupo per tutto.
A presto, Daniela