La tabella di marcia di questo viaggio gourmet è fitta e purtroppo non abbiamo tempo di visitare l’affascinante area collinare tra Castelfidardo, Recanati e Macerata.
Puntiamo dritto in direzione Campofilone, in provincia di Fermo, dove cercherò di scoprire qualcosa in più sui celebri Maccheroncini che hanno accompagnato le mie estati da piccola, in vacanza da queste parti, e che da un anno e mezzo sono diventati IGP.
Campofilone è una piccola cittadina collinare a pochi km dal mare con un bel centro storico di stampo medievale. Certamente ciò che l’ha resa famosa in Italia e nel mondo sono i suoi maccheroncini, a cui hanno dedicato fin dal 1964 una sagra, nella prima decade di agosto, in cui si possono degustare nella versione tradizionale con il ragù di carne.
Entriamo nel negozio dell’azienda Spinosi, che per prima nel 1960 ha aperto un laboratorio artigianale per la produzione e commercializzazione di questa pasta.
Vincenzo Spinosi, proprietario di seconda generazione dell’azienda e presidente dell’Associazione Produttori Maccheroncini di Campofilone, è una persona dall’inconfutabile carisma e passione per il proprio prodotto e il proprio marchio, tanto da renderlo alla stregua dei brand autocelebrativi americani.
Proprio grazie a questa sua indole, è riuscito a far conoscere in tutto il mondo la sua eccellente pasta all’uovo, come dimostrano le centinaia di foto e stralci di giornale sparsi nel suo ufficio e il fatto di esser stato scelto come Testimonial ad Expo per le “Marche nel Mondo”.
Ma cosa sono i Maccheroncini di Campofilone?
Prima e per ora unica pasta all’uovo ad aver ottenuto il riconoscimento IGP, i Maccheroncini accompagnano la storia di Campofilone da circa sei secoli. Basta pensare che vennero citati addirittura in documenti del Concilio di Trento, oltre a comparire in ricettari di alcune famiglie nobiliari dell’epoca.
L’impasto è costituito da uova fresche, da allevamento a terra, e da farina di grano duro o di grano tenero doppio zero. La percentuale di uova è più elevata rispetto ad altre paste alimentari, da 7 a 10 per kilo di farina, rendondola particolarmente ricca di proteine.
Come previsto dal disciplinare, lo spessore della sfoglia deve essere inferiore al millimetro (da 0,3 a 0,7 mm) e poco di più la larghezza (da 0,8 mm a 1,2 mm). La pasta così tagliata viene adagiata su dei specifici foglietti alimentari bianchi e fatta poi essiccare a una temperatura compresa tra 28- 40° per una durata compresa tra le 24 e le 36 ore.
Astute le donne di Campofilone ad aver inventato questa pasta: l’essiccazione le permetteva di conservarla a lungo e di usarla anche in periodi in cui le uova venivano a mancare. Inoltre il formato così sottile ha un’ottima resa, ottenendo 4 porzioni da soli 250 g di maccheroncini.
Da cucinare non è una pasta semplice, ma con le dovute accortezze regala grandi soddisfazioni. Essendo incredibilmente porosa, non bisogna lesinare sull’intongolo e il famoso bicchiere di acqua di cottura della pasta da aggiungere in mantecatura qui è irrinunciabile. All’assaggio è una pasta incredibile, perché riesce a mantenere una propria struttura ben distinguibile, nonostante il formato ipersottile, ma grazie alla propria capacità di assorbimento, si impregna talmente di sugo, da diventar parte di esso.
Lasciamo la provincia di Fermo per raggiungere quella di Ascoli Piceno, dove andrò alla ricerca, e soprattutto all’assaggio della vera Oliva Ascolana del Piceno DOP.
La denominazione designa sia le olive in salamoia che quelle ripiene (e fritte), ottenute dalla varietà “Ascolana Tenera”. Personalmente pensando all’Oliva Ascolana, mi aumenta subito la salivazione, immaginandomi questa piccola matrioska di sapore: impanatura leggera e croccante che racchiude un’oliva carnosa, tenera e leggermente amarognola, cha fa da guscio a un ripieno ricco, fondente e sapido.
Le tappe di assaggio, entrambe ottime, sono state a San Benedetto del Tronto, da Olive Più (foto sotto) e nella splendida Ascoli Piceno, la città del travertino, in piazza Arringo da Migliori (foto sopra), che abbiamo rincontrato recentemente anche da Slow Fish e allo StreEAT, il festival del cibo di strada. La signora di Migliori ci ha confessato che nel ripieno mettono solamente carne di maiale e manzo, niente pollo, e parmigiano reggiano stagionato 36 mesi perché più digeribile.
La tradizione vuole che le olive, rigorosamente le Tenere Ascolane, vengano denocciolate a mano e il disciplinare della DOP specifica che il ripieno deve contenere carni locali di manzo e maiale in determinate percentuali, tollerando una piccola parte di carne di pollo o tacchino.
Soffritto per rosolare la carne, poi uova, formaggio stagionato, noce moscata, ma non mi dilungo negli ingredienti e procedure perché pubblicherò la mia ricetta.
Nelle friggitorie propongono anche altre varianti di ripieno: vegetariano, di pesce, baccalà. Non ho assaggiato il ripieno vegetariano, ma a mio parere la versione classica vince a mani basse con quelle di pesce.
Nonostante ora vengano proposte come street food, le olive ascolane hanno un’origine tutt’altro che popolare. Furono preparate per la prima volta nelle cucine di case nobiliari nell’Ottocento per occasioni importanti e ricorrenze, considerate le materie prime di pregio e la lunghezza della lavorazione.
Care Marche, siete l’unica regione italiana ad avere il nome declinato al plurale (retaggio dell’impero carolingio) e vi calza a pennello. Avete tante bellezze e ricchezze, diverse e complementari e mi avete lasciato tanta voglia di conoscervi meglio.
– Lungomare di San Benedetto –
– Portico in Piazza del Popolo, Ascoli Piceno –
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